REPORTAGE GARE PODISTICHE :

"Castrum Race: di quella prima volta in cui ho pensato “Non la farò mai più”."

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Il racconto della XV° edizione della Castrum Race inizia con la solita sveglia da gara alle 6.00, i grugniti da sonno e il riso bianco. Tutto come al solito insomma, ma con un significativo particolare in più. Aprendo gli occhi, la conosciuta sensazione di pentimento (prima delle 8.00 la sveglia dovrebbe essere illegale) si accompagna ad una presa di consapevolezza definitiva. Fa caldo.

E’ il 25 Giugno più caldo della mia memoria e quindi non è affatto un “Buon Giorno”. Ma – mi dico – fa caldo per tutti, sarà una bella sofferenza collettiva ma sicuramente molto allenante.

Bene, nelle previsioni delle 6.00 del mattino me la cavo alla grande. Perché in effetti è stata una bella sofferenza collettiva e – meno male – un grande allenamento. Soprattutto mentale.

Eh si, perché mentre al 3° KM le mie gambe hanno iniziato a tremolare – e fin qui tutto gestibile - , la mia testa ha iniziato a ribellarsi – e questo è il guaio serio. Quando mancano ancora 7 Km all’arrivo e si è sotto al sole cocente del 25 Giugno più caldo della tua memoria, la testa in rivoluzione non è un buon segno. Tutto nuovo, tutto brutto. Era già successo di essere in difficoltà, di sentire le gambe stanche, avere mal di spalle, sorprendersi nel pensare “Perché l’ho fatto”, ma non mi era mi capitato di pensare seriamente di fermarmi e ritirarmi dalla gara. Ricordo molto bene un preciso istante: lo sterrato davanti agli occhi, il sole dritto sulla nuca, la mancanza di alberi e brividi di freddo. Brividi di freddo. Alt, è il 25 Giugno e ci sono circa 35° (alle 9.30 del mattino). Nessuna persona sana può avere brividi di freddo durante uno sforzo fisico del genere. Ho provato un misto di paura e sorpresa e proprio quando, alla vista della salita che mi aspettava, stavo per cedere alla dolcezza della rassegnazione una voce amica (niente di meno che il Presidente) mi riporta sulla terra: “Dai, bevi c’è il ristoro a 10 metri. Poi cammina per un po’ in salita e quando te la senti riparti”.

Sante parole e santo ristoro. Era lì e non lo vedevo, annebbiata dal sole e dallo sforzo. Rallento fino a fermarmi, mi rinfresco, bevo e riprendo a muovere i passi camminando. Poco dopo aumento di nuovo il ritmo, cercando il mio solito passo in salita, ma devo accettare il limite delle mie gambe e del mio corpo in totale sofferenza. Accuso il colpo e - cosa piuttosto stupida da fare – mi arrabbio con me stessa. Passo i seguenti 3 km a rimuginare sul “come è possibile”, “perché ho ceduto così”, “ma quando finisce”! fino a quando il mio Tom Tom non mi avvisa: “Ultimo chilometro, Sprint finale”. A queste parole – bellezza dell’autoironia – mi sciolgo in una risata silenziosa quanto liberatoria. Prendo la definitiva consapevolezza della mia stanchezza e mi lascio andare ad un passo lento, pesante e cadenzato. Mi guardo da fuori e trovo molto buffo il fatto che me la sia presa con me stessa. Perché è bene spingersi al limite, tentare il massimo e costringersi a fare un po’ di più, ma non è sempre vero che la stanchezza è illusoria. Non è sempre valida la regola della “testa che comanda il corpo”. Lo è nel 90% dei casi, certo. Ma la volta in cui sei nel restante 10%, la tua testa non può molto. Anzi, rischia di peggiorare la situazione con la sua testardaggine, facendoti incaponire su un ritmo che non puoi sostenere e che ti porta ad andare ancora peggio. E, mentre la solita voce conosciuta, mi dava consigli e spronava a non mollare, la testa ha iniziato a seguire il corpo, mi sono rilassata e ho iniziato a godermi (per quanto possibile) le salite, le brevi discese, l’ultimo tratto di sterrato e la doccia fresca lungo la strada. Non pensavo più al tempo, non pensavo al passo. Ero troppo stanca per farlo e mi sembrava straordinariamente bello dover solo mettere un piede dietro l’altro, cercando di continuare nonostante le gambe a pezzi.

Tra le varie immagini degli ultimi 300 metri ne ricordo due incredibilmente vicine (per minutaggio), ma straordinariamente lontane, per stato d’animo:

L’ultimo tratto di salita con Francesco e Paolo che mi affiancano prendendomi per mano per tagliare insieme il traguardo: un gesto che racconta molto della bellezza di questo sport.

E la frase strozzata, pronunciata non appena arrivata e rivolta ad Alessio e Daniele già al traguardo: “Questa gara non la farò mai più!”

N.B. Per dovere di cronaca, tengo a sottolineare la bellezza della gara in sé! 10 km intensi e molto piacevoli se affrontati nel giusto modo…quindi non come me!

BENNATI JLENIA